Quando si discute di sistemi di accumulo energetico, è essenziale comprendere che stiamo parlando di batterie, le quali, però, si distinguono per una vasta gamma di composizioni chimiche.
Ogni tipo di chimica conferisce alla batteria specifiche proprietà che ne ottimizzano le prestazioni in particolari condizioni e per determinate durate.
Per scegliere la batteria più adatta a un’applicazione specifica, è cruciale conoscere a fondo il comportamento e le caratteristiche di ogni cella e della sua chimica.
I sistemi di accumulo utilizzati in combinazione con le fonti di energia rinnovabile non sono tutti uguali; possono variare significativamente in base alla tipologia di cella e alla sua composizione, in funzione delle necessità di potenza e delle prestazioni richieste.
La chimica delle celle è un argomento di grande interesse, con il litio al centro di molte combinazioni come quelle con ferro, manganese, nichel e cobalto.
Ogni combinazione di questi elementi offre prestazioni diverse, influenzate dal carico applicato e dalle condizioni ambientali. È quindi importante considerare attentamente i valori nominali di tensione e corrente, le curve di carica e scarica, nonché il loro comportamento rispetto al tempo e alla temperatura.
Un altro aspetto fondamentale è la sicurezza, poiché alcune celle presentano rischi di infiammabilità o possono diventare instabili in ambienti a rischio di esplosione.
In alcune applicazioni, è necessario che le celle soddisfino i requisiti Atex per operare in ambienti pericolosi, resistendo a corrosione e altre condizioni estreme.
Un fattore determinante nella scelta della batteria è la quantità di potenza che può essere erogata in modo costante. Di seguito, esamineremo i pro e i contro delle principali chimiche utilizzate nelle celle.
Conosciuta anche come LFP, questa chimica utilizza fosfato di ferro come materiale catodico. L’uso di LFP è diffuso nelle applicazioni di accumulo energetico grazie al suo elevato livello di sicurezza, derivante dalla robusta composizione ferrosa, e alla stabilità termica.
La densità energetica delle celle LFP è di circa 100-120 Wh/kg, con una tensione nominale di 3,2 V e un intervallo di funzionamento compreso tra -20 e 60 °C.
Un altro vantaggio significativo di questa chimica è il basso tasso di autoscarica, che è inferiore all’1%. Le prestazioni delle celle LFP rimangono costanti fino a circa l’80% della capacità, anche sotto carichi elevati, e l‘invecchiamento avviene più lentamente rispetto ad altre chimiche, garantendo una durata superiore ai 10 anni e più di 2000 cicli di carica.
Queste caratteristiche rendono l’LFP particolarmente adatta per sistemi di accumulo che richiedono stabilità e durata nel tempo.
Questa chimica, conosciuta come NMC, offre una tensione nominale di 3,7 V e una densità energetica che può variare da 150 a oltre 200 Wh/kg.
Le celle NMC funzionano in un intervallo di temperature simile a quello delle LFP, compreso tra -20 e +55 °C, e hanno un tasso di autoscarica molto basso, circa l’1%.
Rispetto alle celle LFP, le NMC mostrano una curva di scarica leggermente più rapida nella prima parte della capacità. Con circa 1500 cicli di carica, questa chimica è ampiamente utilizzata nel settore automobilistico, sebbene presenti un livello di sicurezza inferiore, poiché diventa meno stabile a temperature elevate durante la carica.
Nota con l’acronimo LTO, questa chimica utilizza nanocristalli di titanio di litio sull’anodo, offrendo una capacità di carica più veloce ma con una tensione nominale più bassa, pari a 2,4 V, e una densità energetica di 50-80 Wh/kg.
Anche se la capacità è inferiore rispetto a LFP e NMC, l’LTO è operativa in un ampio intervallo termico, da -30 a +75 °C, e può sopportare carichi estremamente elevati per brevi periodi.
Sebbene il tasso di autoscarica sia più alto, arrivando fino al 10% mensile, l’LTO è estremamente sicura e molto stabile in diverse condizioni ambientali, rendendola ideale per applicazioni che richiedono affidabilità e sicurezza.
La chimica LCO offre una tensione nominale di 3,7 V e una densità energetica compresa tra 150 e 200 Wh/kg.
Le prestazioni iniziali sono simili a quelle delle NMC, la curva di scarica delle LCO è meno stabile e le prestazioni diminuiscono significativamente dopo il 60% della capacità.
Queste celle sono comunemente utilizzate nei dispositivi elettronici portatili, ma presentano una bassa stabilità termica, rendendole soggette a surriscaldamento e al rischio di runaway termico una volta raggiunta la carica completa.
Chiamata NCA, questa chimica vanta la densità energetica più alta tra le chimiche al litio, con valori che superano i 200 Wh/kg e possono raggiungere i 260 Wh/kg.
La tensione nominale è di 3,6 V e il comportamento di scarica è simile a quello delle NMC, con una buona costanza fino all’80% della capacità.
Le celle NCA hanno un numero di cicli di carica relativamente basso, circa 5-600, e una stabilità inferiore, che le rende meno adatte per applicazioni che richiedono longevità e sicurezza elevate.
L’LMO, o litio manganese, offre una tensione nominale di 3,7 V e una densità energetica compresa tra 100 e 150 Wh/kg.
Questa chimica è caratterizzata dalla capacità di fornire elevate quantità di energia in tempi molto brevi, ma con una curva di scarica che cala rapidamente oltre il 40% della capacità.
Pur essendo in grado di gestire carichi elevati per brevi periodi, l’LMO è meno stabile rispetto alle celle al cobalto e presenta una maggiore instabilità a temperature di carica elevate.
Non esiste una chimica perfetta che soddisfi tutte le esigenze.
La scelta della batteria dipende dalle specifiche necessità dell’applicazione, considerando non solo la capacità, la tensione e la velocità di scarica, ma anche la durata utile, la sicurezza e l’ambiente operativo.
Ogni applicazione può richiedere una chimica diversa, e la decisione finale deve essere presa valutando attentamente le prestazioni, la frequenza di carica e le condizioni in cui la batteria sarà utilizzata.